Il teatro di animazione nel meridione d'Italia

L’opera dei pupi a Napoli: origini e caratteri

Pupo e marionetta sono fantocci a filo, sospesi e comandati dall’alto mediante un numero variabile di cordicelle con cui si attribuiscono movimenti, ora particolarmente fini e delicati, ora più energici e decisi. Va subito detto che se la marionetta usufruisce di soli fili, il pupo necessita per il suo sostegno in scena di un’asta in ferro impugnata superiormente dal manovratore che passa attraverso la testa del fantoccio per agganciarsi al suo busto. Il braccio destro, benché con eccezioni, è anch’esso dotato di un’asta metallica. Tale peculiarità si rende necessaria per l’indole combattente del pupo napoletano che, appunto nella destra, impugna spade, mazze e coltelli, pistole e fucili. Per tirare il colpo con polso fermo, con precisione e nella direzione giusta senza che il braccio pendoli disordinatamente è perciò necessario un filo di ferro che comandi l’azione.

La marionetta di indole assolutamente meno impetuosa e di vocazione maggiormente borghese e manierata viene invece apprezzata per la molteplicità di gentili e garbate movenze antropomorfe che solo i fili, abilmente e delicatamente mossi dall’animatore, possono garantire. Il teatro dei pupi, quantunque forma espressiva di ambito popolare, contadino e proletario, necessita di una macchina scenica di notevole complessità e di generose dimensioni, a cominciare dal fantoccio che raggiunge l’altezza media di ottanta, novanta centimetri per un peso di alcune decine di chili. Per mettere in scena uno spettacolo che preveda l’alternarsi di un certo numero di “attori”, ma pure di un più ampio caravanserraglio costituito da draghi, idre, serpenti, diavoli, fate alate, streghe, cavalli, cammelli, leoni, la cosiddetta “Opera dei Pupi”, forma di spettacolo sostanzialmente itinerante, si dota sì di una struttura teatrale smontabile e trasportabile, ma concepita per tenere cartellone in un medesimo luogo per diversi mesi. Vuoi in uno slargo cittadino, vuoi nella piazza di un paese il teatro dei pupi non può che reggersi su storie dipanate giornalmente, su cicli caratterizzati da un episodio al dì. Materia teatrale consona a essere suddivisa in una teoria di centinaia di spettacoli è quella carolingia che viene variamente reinterpretata, rimaneggiata, arricchita ma anche asciugata, spesso abbondantemente reinventata. Le imprese di Carlo Magno, di Orlando e Rinaldo, già da secoli diffuse dai “rinaldi”, da cantastorie che potevano solo raccontare a voce le imprese dei paladini, al massimo accompagnandosi a un telo dipinto e diviso in scacchi, ognuno ritraente un momento topico della narrazione, prendono ora “corpo”, e con esse le silhouette che divengono figure tridimensionali, riccamente vestite, fasciate in splendenti corazze, con occhi dipinti o in vetro. Una variegata attrezzeria scenica stupisce con gli effetti di cui è capace torme di spettatori increduli che assistono a eruzioni, a mostri che sputano fuoco, a corpi dilaniati dalle spade, a pistolettate fumanti, allo sprizzar del sangue da un corpo trafitto da un pugnale, all’inabissarsi di un vascello. Una congerie nutrita di fondali e quinte ancor meglio appaesa le storie che nel frattempo vengono trascritte su copioni vergati con diligenza dai pupari. Il repertorio si allarga nel tempo includendo storie di santi e madonne, di donne sedotte e abbandonate, attingendo al teatro borghese, mandando in scena la cantata dei pastori in occasione del Natale, o vicende storiche locali come la Disfida di Barletta.

Tra prima e seconda metà dell’Ottocento nasce e si ramifica nel “corpo” di Napoli, ovvero nei suoi quartieri più antichi, i quartieri “spagnoli”, la camorra con i suoi codici d’onore, i suoi traffici illeciti, la sua rete di corruttori e corrotti, la connivenza con gli organi della polizia e della magistratura locale. I capi della camorra divengono dei veri e propri eroi popolari, amministratori di “giustizia” nelle aree della città da essi controllate: non si muova foglia che tali mammasantissima non vogliano. Prontamente il teatro dei pupi andrà sostituendo ai beniamini di un tempo in elmo e corazza, comunque appartenenti a un universo familistico, a una “cupola”, amministrata da un capo assoluto, Re Carlo, i pupi “borghesi” ovvero personaggi di nuovo conio che si ispirano esplicitamente e fedelmente ai “reggenti” della camorra, alle loro storie vere replicate sulle scene dei teatrini. Non sono infrequenti i casi in cui il camorrista, compiaciuto, vada ad assistere con i suoi guardaspalle alle vicende che lo riguardavano direttamente e in prima persona nei “baracconi” dei pupi. Il successo del pupo di camorra si protrarrà fino agli anni Cinquanta e Sessanta del Novecento quando la televisione innescherà la parabola discendente di questa forma di teatro di figura aspra, sanguigna, cruda e passionale. In Puglia, analogamente, assieme al teatro dei paladini si affermerà quello degli eroi del brigantaggio apulo.

Pupi e marionette sostanzialmente non si mescolano ma coabitano comunque nel medesimo baraccone con repertori in gran parte anche se non del tutto distinti. Accade che la natura intrinsecamente violenta, talora brutale dell’episodio giornaliero che non infrequentemente esige il morto ammazzato, il traditore da mandare al Creatore, porti alla conclusione dello spettacolo dei pupi in un’atmosfera cupa e funerea. Per congedarsi dal suo pubblico in un clima più allegro il puparo manda allora in scena il cosiddetto “fuori programma”, ovvero uno spettacolino dove tocca ora alle marionette salire alla ribalta impegnandosi in balletti, numeri circensi, gag ironiche, cantate e commediole dalla trama gustosa e gaia. La già ricordata peculiare levità della marionetta contribuisce dunque ad allietare non poco gli animi.

Va pure detto che certuni personaggi femminili, angeli, o, all’opposto, creature ctonie, draghi dai lunghi colli oscillanti e dalle fauci spalancabili, serpenti che avanzano contraendo e distendendo le loro spire, la medesima Morte, spesso impersonata da un dinoccolato scheletro, tutte figure proprie del teatro dei pupi, sono in realtà mossi grazie a complessi orditi di fili apparentando tali fantocci, sul piano della tecnica di animazione, alle marionette.


Metterci le facce





Lucenti possenti alteri ieratici e gentili paladini



Malavitosi e primattori