Mare

Navigare nonostante il mare: risolute, appariscenti, fatue città flottanti

Il passaggio dal veliero alla nave a vapore, e, per quanto riguarda gli scafi, dal legno al ferro, permette di aumentare considerevolmente stazza e lunghezza dei natanti. Tale progressivo ingigantimento è peraltro reso obbligatorio dalla mole delle caldaie e dalle carboniere alloggiate nel ventre degli scafi. Il legname che rappresentava un limite “fisiologico” alla crescita del tonnellaggio cede il passo al ferro imbullonato a caldo che consente l’impostazione di naviglio di alcune centinaia di metri di lunghezza.
Tra prima e seconda metà dell’Ottocento si gettano le basi di quella che diverrà, soprattutto in un’epoca compresa tra 1900 e 1950 l’epopea dei transatlantici [Spratt 1950].
Sui settimanali illustrati in voga già nella prima metà dell’Ottocento non sono inusuali articoli che celebrano la modernità della nave a vapore a partire da quel periodo in cui le due concezioni del navigare, l’una a vela e l’altra a motore, coesistevano in soluzioni miste ove l’alberatura conviveva con i fumaioli delle caldaie. Gli incisori realizzavano stampe ove codeste navi procedevano risolute e spedite in un mare alquanto increspato ma affrontato con assoluta determinazione, con tutta la velatura a riva parzialmente circonfusa dal vapore denso e cinerino sprigionato dai fumaioli. Le retoriche figurative destinate enfatizzare il progresso tecnologico destinato a sottomettere il mondo naturale, piegandolo ai suoi diktat, si riverberano anche in questa «ritrattistica» marinara ove la nave, a tutti gli effetti, mostra i muscoli.
Altro ampio serbatoio di immagini destinato alla celebrazione della navigazione in epoca moderna e contemporanea è l’articolo specialistico e tecnico che dettagliatamente descrive il transatlantico dentro e fuori, dal momento in cui fu impostato sugli immensi scali del cantiere che lo costruì, al varo, alla crociera inaugurale. Altrettanti i pezzi di cronaca mondana che ci narrano del jet set imbarcato sul prestigioso transatlantico di turno, di attori, cantanti, finanche scrittori che ben volentieri, si fanno ritrarre nei salotti di bordo, nelle loro fastose suite. Ancor più imponente il profluvio di cartoline che celebrano il liner o anche il paquebot1 , come questi giganti del mare venivano definiti in Inghilterra e Francia, acquistabile durante la navigazione e poi spedito, al momento dell’arrivo in porto, dall’ufficio postale di bordo. Migliaia, dunque, le card che debbono rispondere a precisi intenti figurativi: descrivono la nave nel momento in cui salpa o attracca con il rituale affaccio dei passeggeri ai parapetti dei ponti e con la presenza di un brulicare di persone in banchina che saluta o attende familiari e amici in un clima festoso e da evento sempre straordinario. Indugiano sulla nave in mare aperto per farne apprezzare la monumentalità, l’eleganza e la perentorietà nell’incedere in ogni condizione meteo marina da quella dell’assoluto bel tempo a quella tempestosa. La maggior parte di queste immagini è però destinata alla minuziosa stigmatizzazione del lusso degli interni e alla narrazione dei rituali mondani alla cui esaltazione sono essi destinati. Ampollosi scaloni di acceso ai piani, sale da pranzo barocche e suntuose, ambienti per la lettura e addirittura vere e proprie biblioteche, fumoir, eleganti bar per gustare un drink, piscine, palestre, campi da tennis, teatri, cinematografi, finanche cappelle per la messa domenicale, e, ancora, all’esterno, ponti di passeggiata per godersi il salmastro o, stesi sulle chaise-longue, farsi servire da compunti e inappuntabili camerieri le leccornie della pasticceria di bordo o i vini della prestigiosa cantina navigante.
Altrettanto celebrative di questo lusso trasposto sul mare sono le brochure e anche dei veri e propri album contraddistinti da preziose copertine in pelle, madreperla e velluto con iscrizioni e volute ornamentali in oro zecchino, spesso appannaggio dei passeggeri più facoltosi, quale prova eloquente delle atmosfere da vera favola vissute a bordo e da raccontare e illustrare, una volta a terra, a congiunti e conoscenti ai quali ci si riunisce. Altri album ancora sono confezionati dal fotografo di bordo con immagini dei luoghi esotici visitati durante la crociera. Ulteriori brochure ancora, di generosissimi formati, utilizzando la tecnica, anch’essa scenografica, fantasiosa sorprendente del pop up, propongono lo spaccato del paquebot consentendo di scoprire e analizzare nel dettaglio, da prua a poppa, l’infinita varietà di locali che coesistono a bordo con funzioni diverse, dai luoghi per il puro intrattenimento, alle camere, ai saloni da pranzo, alle cucine, alle lavanderie, alla sala macchine, ai ponti destinati all’alloggio dell’equipaggio, dei passeggeri di seconda e terza classe. Dei passeggeri meno abbienti, delle camerate in cui dormono, delle disadorne sale in cui passano le giornate senza poter raggiungere i ponti superiori a loro rigidamente preclusi, non esiste, all’opposto, testimonianza fotografica e cartolinesca.
Tali scenografiche e teatralizzate viste del transatlantico, spesso più lunghe di un metro, e dunque già nelle dimensioni inusitate e stupefacenti, che si aprono a organetto, che consentono di sollevare dei cartoncini riproducenti le murate, o loro sezioni, disvelando i sottostanti e numerosissimi locali presenti in quel punto della nave, che ruotano a ventaglio mostrando tutti i ponti della nave, sono in perfetta linea con una “politica” visiva imperniata sulla celebrazione di cotanto lusso a spasso sui mari, che va, come detto, dalla semplice cartolina all’escamotage di un dépliant che strizza l’occhio al libro di favole.

A ben vedere, cotali enfatiche narrazioni, associano l’enorme nave passeggeri a un palazzo galleggiante, ma pure a una città flottante non tanto e non solo per le dimensioni sorprendenti e per la pluralità di attività che pullulano a bordo come in una piazza o in un viale cittadino, ma più specificamente per trasportare in mare ambienti e atmosfere “terrestri”, per fare del transatlantico una rassicurante copia, una estroflessione della terra ferma. Certuni saloni, i più prestigiosi della nave, in una esaltazione di stili e arredi che intersecano il barocco al neoclassico al liberty nostrano, all’art noveau ma pure al più glabro razionalismo [Eliseo M., Piccione P. 2001: 222-249]2 , sono ispirati ma talora sono repliche esplicite benché rimaneggiate e adattate alle dimensioni del bastimento di quelli presenti in alberghi di lusso e addirittura in palazzi nobiliari e castelli come se ne trovano su nostrani transatlantici quali, ad esempio, il Saturnia e il Conte di Savoia ove si riproduce, con varie licenze poetiche, la Sala Grande Di Palazzo Colonna a Roma. Quadri appesi alle pareti o incastonati nei rosoni dei rivestimenti lignei di sale che già esse rimandano stilisticamente a dimore finanche alpestri, tappezzerie, carte da parati, fodere di poltrone e divani, coperte di letti e tende, addirittura illustrazioni poste sui frontespizi dei menù del giorno recano motivi floreali, propongono scorci urbani e vedute campestri, scene di genere e di vario contado con l’abito e l’acconciatura festiva, evocano battute di caccia, giardini e boschi, ville e manieri, riproducono una multiforme fauna equestre, bovina, canina e felina, dipingono uccelli e farfalle svolazzanti con l’obiettivo di creare l’illusione di una rasserenante prossimità se non di una contiguità alla terra ferma, quasi che da essa non ci si fosse mai distaccati.
In base a tali vistosi presupposti il transatlantico fonda la propria supremazia, ribadisce il proprio dominio su una dimensione equorea attraversata e invasa da un pezzo di continente, da un pezzo di città che la sovrasta, che su di essa tronfiamente galleggia e si sposta a suo piacimento, su cui articola l’epopea e la prosopopea di un viaggio condotto secondo usi del tempo libero e costumi sociali propri di contesti urbani alla moda. Siamo al cospetto di un evidente paradosso dove l’attrattività del viaggio in nave completamente “immersi” in una dimensione equorea infinita, che circonda da presso tutto lo scafo, viene pubblicizzata, sottolineata e valorizzata attraverso reiterati e potenti richiami alla terra ferma.
Il passeggero è quindi tranquillizzato e ammaliato, per un verso mediante una riproposizione di ambienti e loro arredi che si richiamano all’albergo, alla villa, alla città e alla campagna inserendo perciò la crociera in una cornice “terrestre”, mentre, per l’altro, attraverso la sottolineatura a ogni piè sospinto di un “titanismo” di paquebot e liner che nessun colpo di mare potrebbe mettere in difficoltà, tantomeno in crisi. Non è allora un caso che le affiche attentamente studiate per pubblicizzare viaggi da sogno e navigazioni indimenticabili, in una condizione di assoluta sicurezza, quale la mole inusitata del transatlantico sembra garantire, Titanic a parte e con esso centinaia di navi egualmente colate a picco [Marshall 1912], giochino deliberatamente e astutamente su cotale “protettivo” gigantismo ingigantendo, appunto, oltre misura, l’aggetto di prue imperiose e svettanti che arrivano a occupare in altezza tutto il foglio che a stento le contiene, prue falliche che sembrano emergere dalle profondità marine, da esse affrancandosi per innalzarsi a toccare il cielo.

1Il termine paquebot indica, appunto, un naviglio destinato al trasporto postale e di merci. Il considerevole aumento di mole di tale naviglio resosi necessario per accogliere nelle profondità dello scafo sale macchine di enormi dimensioni creerà gli spazi necessari alle stive ma, parimenti, utili a ospitare un sempre maggiore numero di passeggeri suddivisi, generalmente in tre classi prevalenti.

2 Mentre gli emigranti ricorrono al viaggio in nave per raggiungere le mete dei loro agognati sogni, i luoghi in cui rifondarsi e riscattarsi dalla povertà, sui ponti più alti, in saloni e suite di gran prestigio, una clientela facoltosa non desidera un “viaggio”, ma una crociera che sia all’altezza delle sue aspettative. Si attende tutto il fasto di una vacanza immersa nel benessere e nel lusso, intervallata da scali presso località attrezzate per favorire un turismo altrettanto esclusivo. Le compagnie armatrici si adeguano facendo a gara nel dotarsi di naviglio di prestigio che tiene alto il vessillo di una cantieristica nazionale a gestione privata o a partecipazione statale. Esemplare, in tal senso, la storia della francese Compagnie Générale Transatlantique e delle sue navi rimaste nella storia della navigazione tra le quali i transatlantici France, Normandie, Provence, Lorraine, Champagne, Île de France, Touraine [Lanier 1962].