Il teatro di animazione nel meridione d'Italia

Cartelloni

Il cartellone è, a tutti gli effetti, la magniloquente, pomposa e surdimensionata reinterpretazione della locandina teatrale a cui il puparo affidava il compito di attrarre ed incuriosire la gente, invogliandola ad assistere all’episodio giornaliero del quale il grosso foglio appeso all’esterno del teatro condensava ed esaltava le scene madri.

In assenza di una ribalta da cui i pupi napoletani possano ancor oggi affacciarsi, implicati dai loro manovratori nelle molte ed intricate vicende raccontate ogni sera al proprio affezionato pubblico, restano, quindi, i cartelloni. Come detto, sono essi gli antesignani delle odierne locandine teatrali, ma di dimensioni assai più generose. Costituiti da fogli di carta di un certo spessore e di prevalente tonalità giallognola, che li accomuna alla carta da imballaggio, preferita perché più resistente, raggiungono misure che si attestano sui tre metri circa di lunghezza per due, due e mezzo di altezza. Infrequente, per quanto riguarda il supporto, è l’uso, al posto della carta, maggiormente deperibile, della tela che, al pari delle scene, permetteva una conservazione più idonea dei manifesti, a cominciare dal fatto che venivano arrotolati su sé stessi e non ripiegati ad angolo vivo. Solo alcuni teatri più “blasonati”, come il Piccolo San Carlino di via Foria, si potevano permettere un’intera dotazione di cartelloni in tela e locali ove riporli adeguatamente. Tornando alle misure, esistono anche, ma in numero più contenuto, cartelloni di larghezza inferiore, compresa approssimativamente tra il metro e mezzo ed i due metri, usati soprattutto nell’illustrazione di episodi dei cicli di camorra.

In qualche altro raro caso si sono rinvenute delle strisce da disporre verticalmente ai lati dell’ingresso del teatro od anche a destra e sinistra del boccascena, larghe non più di un metro ed alte sino a tre. Siamo qui al cospetto di rotoli che ospitano figure di paladini, damigelle, draghi e diavoli con prevalente funzione ornamentale. Al medesimo scopo rispondono i ritratti a figura intera di alcuni paladini e di qualche altro personaggio realizzati anch’essi con la stessa tecnica e su analogo supporto.

Il cartellone vero e proprio assolve invece al compito di raccordarsi all’episodio della storia che è chiamato ad illustrare, enfatizzandone i passaggi più cogenti. Ogni giorno il puparo espone dunque il cartellone della “puntata” che andrà in scena nel corso della serata, unitamente a quello che anticipa e stigmatizza ciò che verrà rappresentato il giorno successivo. In tal senso siffatti sgargianti, cartacei tabelloni possono essere ascritti alla grande famiglia delle insegne popolari latamente intese, ai cartelli dei cantastorie, alle immagini che decorano carrozzoni e giochi dei luna park, in altri termini raffigurazioni, tra le molteplici, che compongono la variegata “arte di piazza”.

Quale succedaneo degli spettacoli di pupi, non più in scena, restano i cartelloni a raccontarne, a stigmatizzarne le peculiarità, i tratti salienti e contraddistintivi. In fin dei conti questo era, a tutti gli effetti, il loro ruolo. Ad essi il puparo demandava la possibilità e la speranza di fidelizzare il proprio pubblico. Dovevano essi assumersi la funzione di un odierno trailer , incuriosendo ed istigando lo spettatore a tornare la sera successiva, dandogli, a tal proposito, qualche succosa anticipazione, accentuando, rimarcando i momenti clou che non avrebbe dovuto assolutamente perdersi. Sono quindi essi depositari ultimi dell’essenza medesima dell’opera dei pupi proprio perché chiamati a definirne i componenti fondativi, attraverso un processo di forte e necessariamente significativa sintesi.

Dall’analisi delle loro fisiche peculiarità, ivi comprese dimensioni e forme geometriche, dalla disamina del modo in cui sono strutturati gli spazi espositivi e di come sono articolati figurativamente, dunque, in sostanza, dalle peculiarità compositive dei quadri, ma pure dall’indagine sulle tonalità cromatiche adottate, dal dialogo tra elementi iconografici e parti scritte, si possono ottenere utili elementi interpretativi per risalire agli aspetti fondanti del teatro dei pupi.

Si tenga inoltre presente che siamo dinnanzi ad una lettura interna di questo tipo di rappresentazione, essendo, con frequenza, gli stessi pupari a dipingere i cartelloni, o comunque pittori appartenenti al contesto in cui l’opera dei pupi andava in scena.

È quindi soltanto la loro personale ed esclusiva interpretazione di storie, personaggi, contesti ed atmosfere a campeggiare, sinteticamente, su questi grandi fogli di grossolana carta dipinta. È insomma, il cartellone, a tutti gli effetti, una diretta “proiezione” dell’effettivo rapporto che il puparo instaura con il proprio universo artistico, un “affaccio” diretto sul sistema di valori su cui investe e che trasla sul palcoscenico.



didascalia per le immagini

Quattro diversi cartelloni appartenuti alla compagnia Perna di Frattamggiore, due totali e due particolari, due relativi alle storie paladinesche e due a quelle di camorra. Unica la convenzione figurativa espressa da corpi fortemente piegati in avanti o indietro per rendere più appariscente, cruento e drammatico l’atto offensivo assieme a quello difensivo. Corpi trafitti da spade e stiletti, teste infisse sulle picche, armigeri stramazzati al suolo, tenzoni ove non si disdegna di utilizzare ogni possibile corpo contundente, da una catena ai bastoni. Si noti come diverse delle persone raffigurate nell’atto di sferrare il colpo appaiano inusitatamente disarmate: non si tratta ovviamente di sviste o inspiegabili contraddizioni figurative ma della cancellazione delle armi che la polizia, in epoca fascista, imponeva ai pupari.

Rimane la funzione coinvolgente di tali quadri drammatici espressa dalla policromia e dal grosso formato del cartellone che sovrasta chi li osserva, ove i soggetti sono riprodotti quasi a grandezza naturale in posture cinetiche e angoscianti.




Cartelli per dipingere gli spettacoli, magnifici, giganteschi, vividi e violenti come i pupi.