Fotoreportage

Dimensione antropologica - La Famiglia

L’elemento umano si avverte nella sua intensa preminenza in modo particolare in foto che ineriscono la dimensione familiare, dove la vocazione ritrattistica dell’autrice, dall’impronta delicata, ma pur tuttavia determinata, mette in evidenza volti in primo piano, che guardano decisamente in macchina, a volte abbozzati in un sorriso, timido, accogliente, malinconico, interlocutore e pensoso, sorriso quale archetipo globale che segnala una disponibilità al contatto, che ne prefigura e talora ne imbastisce la trama. Sorriso in veste di iniziale pivot da cui discende dunque la scelta di parlare, ascoltare, di avvicinarsi, di rispettarsi; sorriso che determina uno sguardo che a sua volta sancisce un avvenuto contatto, non tanto tra chi fotografa e chi è fotografato, ma tra due soggetti che partecipano entrambi alla costruzione di un piano su cui si articola un’osservazione reciproca. In altri casi i personaggi sembrano invece apparentemente assenti, mezzi busti che proiettano le loro occhiate di lato, evitando o scavalcando l’apparecchio fotografico, per rimanere a prima vista in sintonia con i propri pensieri; figure intere e da sole, ma con maggior frequenza schierate a piccoli gruppi, spesso colte nelle faccende domestiche ma non per questo all’oscuro dell’essere parte di una procedura che si basa sul loro coinvolgimento, esplicitato o, come in questo caso, sotto traccia ma in ogni modo partecipe, del fugace e però pregnante attimo in cui lo scatto fotografico stabilisce una relazione, momentanea che sia. Quell’attimo antico come il mondo, oseremo dire “universale”, ma al tempo medesimo estremamente cangiante, che sta alla base del contatto, che prelude alla comunicazione tra gli uomini, dove due sguardi, diretti o latenti, si incrociano o comunque si “percepiscono”, qui con il tramite dell’obiettivo.



Senilità e morte

Una sorta di albero fotografico della vita, dalla nascita alla morte. Paola Pisano descrive i rituali che accompagnano i morti, con preghiere ma sempre senza apparente segno di disperazione, a volte con le mani a coppa, gocciolanti di acqua sacra, fonte di redenzione, rivolte verso il sole. C’è il fiume Gange in India che nel suo lento cammino, accoglierà le ceneri dei defunti dalle pire all’eternità; c’è l’isola di Bali, dove si praticano cremazioni in massa, secondo riti hindu; c’è l’isola di Sulawesi, ad est del Borneo, dove tra la popolazione dei Toraja, vige una cultura funeraria e un rituale di sepoltura dalla forte pregnanza visiva. Il cadavere, dopo la veglia dei parenti, viene portato sulle montagne in apposite case-tombe, accompagnato dal tau-tau, corpo scolpito simile a una grande marionetta lignea che replica le fattezze del trapassato. Tali fantocci vengono sistemati in balconcini a guardia delle sepolture scavate nella roccia, adeguatamente acconciati con gli abiti appartenuti ai defunti. Da lì, guarderanno per sempre l’effimero affaccendarsi dell’umana esistenza.